domenica 24 febbraio 2008

La natura ibrida degli oggetti creati dalle scienze

Ipotesi di lavoro

-work in progress-

Legenda: ciò che è tra parentesi quadre è un'ipotesi di sostituzione dell'espressione che lo precede;
i punti interrogativi tra parentesi tonde indicano un dubbio sull'espressione appena usata;

In queste righe voglio provare a concettualizzare come ibrida la natura degli oggetti creati dalle scienze e a contestualizzare questa parola per ora priva di significato.
Tale concettualizzazione è da intendersi come ipotesi di lavoro, cioè da sperimentare e soggetta a future modificazioni o al rigetto.

Affermare che gli oggetti creati dalle scienze (teorie o apparati tecnologici) sono intrinsecamente [ontologicamente?] ibridi è diverso dall'affermare la loro neutralità.
La pretesa neutralità di un oggetto lo priva del suo reale contenuto e la determinazione della sua natura è lasciata a chi lo pone in uso. In questo modo, in primo luogo, si deresponsabilizza lo scienziato [la comunità scientifica?] che non farebbe altro che esporre le sue creature nude al mondo.
Chiamare ibrida la natura dell'oggetto vuol dire intenderla non determinata, ma polivalente e presente.
Ciò che permette di concettualizzare in questo modo gli oggetti creati dalle scienze è l'intenderli come prodotti di un processo non lineare e indefinito, questo prima di tutto li riempie di un contenuto storico-biografico, che però a sua volta va concettualizzato.
Che questi oggetti siano reali ce lo conferma il fatto stesso che possiamo nominarli (elettrone, dispositivo ottico nanostrutturato, stato, etnia,...) e seguendo la Stengers possiamo legare il loro essere reali alla rete di interconessioni che li mette in relazione con gli altri oggetti che compongono il mondo e con i soggetti che lo vivono.
Lo scienziato [la comunità scientifica?] durante il processo di creazione ha l'esigenza di iniziare a tessere questa rete di relazioni per poter assicurare una certa permanenza all'oggetto che altrimenti scomparirebbe dal mondo.
[Si può addirittura dire che il processo di creazione risiede proprio nella tessitura di questa rete?]
Una volta fatta la sua comparsa nel mondo, cioè quando è uscito dal laboratorio, l'oggetto è inserito in questa rete che però può modificarsi dinamicamente.
La concettualizzazione della neutralità lo vorrebbe ora, invece, nudo e soggetto a manipolazioni che ne indirizzeranno l'uso. Chi invece attacca questa concettualizzazione dalla posizione opposta lo vorrebbe "geneticamente determinato" e quindi soggetto ad un'evoluzione prevedibile (e negativa).
Questa posizione intuisce l'esistenza di una rete di relazioni, ma la suppone immodificabilmente diretta dagli apparati del sistema globale(?) e quindi non vede lo spazio per una liberazione che non sia la negazione.
Concettualizzandolo come ibrido, invece, lo vediamo inserito in un circuito di retroazioni che ne determina in maniera strutturale (non deterministica) l'evoluzione.
In questa dimensione storicizzata acquista importanza centrale il problema del linguaggio. Se gli oggetti, infatti, sono nominati da un linguaggio per iniziati, i non iniziati sono aprioristicamente esclusi dalla rete di relazioni e si afferma un principio di autorità. I rapporti sono rapporti esclusivamente diretti dalla comunità scientifica e dagli apparati sistemici, escludendo la società.
Sotto queste condizioni l'unico soggetto responsabile dell'attualizzazione delle realtà presenti nell'oggetto è la comunità scientifica, mentre la società è condannata alla muta inazione, al luddismo altrettanto muto o al paternalismo.

martedì 15 gennaio 2008

17 GENNAIO: IL PAPA, VELTRONI E MUSSI ALLA SAPIENZA

Vogliamo ringraziare papa Ratzinger e il rettore che l’ha invitato, perché hanno costretto tutti a venire allo scoperto.

Hanno costretto l’istituzione universitaria a mostrare la crisi di potere che sta attraversando. Una crisi voluta dai governi che si sono succeduti negli ultimi anni, in linea con la tendenza dettata dall’unione europea, e che costringe l’università ad allearsi almeno simbolicamente con il potere più incontrastato di oggi: la Chiesa.

Hanno costretto l’accademia scientifica a mostrare il vero volto dell’autonomia del sapere che
rivendicano. Un sapere che, per esercitare il suo potere, deve essere autonomo tanto dagli altri poteri, come la Chiesa, quanto dalla società. Così la Scienza rivendica per sé il potere di influenza e controllo che attualmente esercita il Papa, in un gioco degli specchi che esclude e governa chi non vi partecipa.

Non vogliamo schierarci a difesa di nessuna delle posizioni in campo. Non vogliamo difendere l’autonomia di un sapere che non vuole farsi strumento di trasformazione nelle mani della società. Non vogliamo che l’università diventi per un giorno e una volta di più la cittadella simbolo del sapere accademico e del potere. Non vogliamo che venga trasformata in una passerella dove far sfilare i signori della conoscenza e del controllo tra ali di sudditi festanti, mentre gli eretici e i ribelli vengono lasciati fuori ad abbaiare lontani dalla ribalta mediatica.

Vogliamo approfittare di questa occasione per aprire una breccia nelle mura della città universitaria e lasciarla invadere dalla società critica e vitale.

Invitiamo tutti il 17 gennaio a partire dalle 9:00 a popolare la Città Universitaria per iniziare a trasformarla in quella città che noi vorremmo che fosse: luogo di libera circolazione e creazione di pratiche e di saperi liberi dalle recinzioni di ogni potere costituito.

Come studenti, come ricercatori, come cittadini, come donne e uomini liberi difendiamo la libertà delle pratiche e dei saperi eretici dall’ingerenza degli stati e delle chiese.

Nè con lo STATO, Nè con la CHIESA
LIBERTÀ DI ERESIA

LabSAS - Edward Seegar
per un sapere libero, autogestito, ecologico.

N.B. Vogliamo far notare “un’ironica coincidenza”: l’inaugurazione dell’anno accademico è dedicata alla pena di morte e Papa Ratzinger, quando ancora era prefetto della dottrina. è proprio colui che ha reinserito la legittimità della pena di morte per casi estremi nel Catechismo della Chiesa Cattolica.

venerdì 23 novembre 2007

Lì dove il mare scricchiola

Non puoi, non potete!
Il mondo gira sempre su sé stesso, ed allora ad ogni realizzazione si ricomincia e, per prima cosa, c'è da difenderla. Indicare e resistere, senza sapere bene come. E se fosse solo un annaspare nuotando in cerchio? È lecito questo dubbio?
Giorni di abbandono dopo Genova, ribattere agli insulti e poi la spossatezza. Senza il tempo di una riflessione. Da destra e da sinistra si avvertono cigolii di legno vecchio e marcio pronto ad abbattersi per l'ultima volta. In tutto questo non essere in grado di relazionarsi ad alcunché, come se d'improvviso tutto fosse diventato estremamente distante, o forse è stato allontanato di proposito in mia assenza.
Chiedo solo tempo, forse da troppo tempo.

Ma a chi sto parlando?

domenica 18 novembre 2007

Genova mare calmo - 17/11/2007

Appena rientrato da Genova.
La stanza è fresca ed aiuta a raccogliere sensazioni ed umori per trasformali in pensiero verbale, ma forse è troppo presto. Non c'ero a Genova nel 2001. Ero altrove, con gli occhi che vedevano e negavano. Scrivo e solo scrivendo inizio ad afferrare il senso di quello che provo. Non è stato quello che mi aspettavo. Mi aspettavo sensazioni molto più dirette, nodi allo stomaco, lacrime agli occhi. Niente di tutto questo, complice la bella atmosfera distesa, la buona compagnia e le focacce genovesi. Forse questa separazione è veramente reale oggi, non lo so, ma sono felice. E in quel corteo, dalla coda alla testa, pur nelle differenze, mi sentivo a casa. L'ho percorso tutto con compagni di strada variabili e restando qui e là ad osservare un gruppo di persone, ad ascoltare una banda, a parlare con qualche compagno.

E ora penso a questi che erano nel corteo. Ai tanti di loro che a Genova nel 2001 c'erano. Alle facce di alcuni di loro quando siamo scesi dal treno al primo urlo "Carlo è vivo...". Agli occhi e alle due parole di uno di loro quando, svoltato l'angolo, si è aperta la piazza con i camion, le bandiere e il mare dietro: i suoi ricordi. E poi? "Gioa di vivere ragazzi" ha detto uno e questo è stato.

Certo, è solo uno slogan. Per le strade di Genova sei anni fa è morto veramente qualcosa che adesso non c'è più, non solo Carlo. Eppure la rabbia non si è trasformata in cieca violenza, non ieri. Certo, eravamo in molti di meno. Molti non ci sono più tornati per strada, molte di quelle esperienze sono fallite, troppo presto, eppure il corteo di ieri qualche risposta la data: non in termini politici, ma di vita.

Per quanto riguarda me, questo viaggio a Genova è stato solo un viaggio a Genova. Un punto d'arrivo e un punto da cui ripartire.

lunedì 15 ottobre 2007

Incomunicabilità

Ero in macchina con amici in un’Isernia che mostrava senza pudore il suo squallore. Rimbalzavamo da un luogo all’altro, da un locale all’altro, tutti desolatamente deserti o selvaggiamente affollati: sintomo di un conformismo dilagante e ributtante. Solo l’aria fresca, secca e pungente mi ricordava il motivo per cui ero tornato. Il resto era straordinariamente deprimente: fighettaggine volgare e truccata ovunque e per ogni età. Gli amici erano quelli di un passato lontano, riscoperti quest’estate in giro a ballare pizziche e tarante in piazze inconsapevoli anche se molto più somiglianti all’apatia senza creatività che quì dilaga che a me, almeno in apparenza. Credevo di aver ritrovato qualcosa, di aver rimesso in piedi uno straccio di rapporto che, seppur nella distanza, poteva costituire qualcosa di piacevole. Un rapporto con un mondo lontano, senza pretese di comprensione intima, ma dignitoso. E invece no!

Eravamo su un cavalcavia dritto e deserto andando verso un paesino vicino. Non ricordo perché, si parlava di manifestazioni, ma ho nominato Genova. La frattura invisibile e insanabile che in quei giorni di Genova si è aperta è venuta alla luce. Ho provato a replicare alla sua fredda giustificazione dei comportamenti della polizia. Ho provato ad opporre i fatti e la ragione, poi ho taciuto e ho poggiato la fronte al finestrino freddo della macchina. Non si trattava della cecità ideologica di certi fascisti meno “sociali” di altri, né della scotomizzazione volontaria di chi ha un tornaconto. Io a Genova non c’ero e non solo fisicamente, ma la realtà umana può trasformarsi, si possono intuire cose che si erano lucidamente trascurate. C’è una frattura viva e sanguinante tra chi ha risposto a Genova con fredda indifferenza e chi, in un modo o nell’altro, prima o dopo, no. Una divergenza assoluta sull’immagine che si ha del mondo e delle persone. Un conflitto irriducibile che oppone idee diverse, e spesso inconsapevoli, di umanità. Poi, puoi pure non votare Berlusconi.

Stasera avrei dovuto parlare del PD e di Veltroni, della Cgil e della Cosa Rossa, ma non l’ho fatto? Prima di domenica prossima cercherò di farlo in maniera più esplicita.

lunedì 17 settembre 2007

Coincidenze - Solo un'introduzione -

Fulvio Conti, amministratore delegato di Enel spa, lancia l'allarme energetico: la soluzione? Il carbone in Italia e il nucleare all'estero (sic!). Praticamente in contemporanea si svolge a Roma la conferenza sui cambiamenti climatici. Il clima, così come il problema energetico, sembra diventato di moda. Ne parla pure il Papa! Ci si fanno le prime notizie dei telegiornali (quelle con le virgolette e i punti esclamativi) e fa figo parlarne nei salotti buoni, soprattutto ora che si sono spenti i riflettori sul caso Cogne.
Ma a nessuno di voi sembra strano che fino a qualche anno fa sostenevano con scientifica certezza che non esistesse alcun problema climatico, mentre ora organizzano conferenze e megaconcerti? E le centrali a carbone? Quelle nucleari? I rigasifigatori?
Tutti sembrano avere già pronte le soluzioni ad entrambi i problemi. E soluzioni semplici: tecnologia! Ma queste soluzioni, lungi dall'essere certe, rappresentano esse stesse un altro problema, perchè "funzionano" solo in una società altamente controllata e controllabile. Allora sorge il dubbio che questi allarmi, così come quello sul terrorismo, pur riferendosi a problemi reali che minacciano la sopravvivenza stessa della specie umana, siano in realtà lanciati per sfruttare la paura e spingere la società ad accettare acriticamente soluzioni tecnologiche che implichino serie ristrettezze alle libertà individuali e collettive.
E' quindi il momento che ci si interroghi sul modello di società in cui vogliamo vivere e che si studino le istituzioni, la scienza e la tecnologia che possono essere utili alla costruzione di questa società, evitando di sottostare al ricatto "O questo o la morte?" che ci viene proposto. Bisogna ripensare i rapporti interumani, i nostri saperi e il complesso delle nostre relazioni con la natura prima.

lunedì 18 giugno 2007

Pensieri dal film La Balia

Le nostre madri ci hanno battezzato per paura. Noi dovremmo battezzare i nostri figli per paura. Il battesimo non ci ha tolto il peccato originale: c’è l’ha dato. Non siamo nati con la paura. Non viviamo per paura: a volte sopravviviamo nonostante la paura. La paura è l’anello che chiude il cerchio della vita, costringendoci a rifare ogni giorno le stesse cose per paura di ciò che non conosciamo. Io non voglio avere paura di ciò che non conosco, perché ora so che solo così potrò non essere sempre nello stesso luogo e nello stesso tempo, ma trasformarmi in ogni istante. Nascere in ogni momento.