giovedì 26 aprile 2007

SENZA PAROLE (Un comunicato dell' Esc e della rete per l'autoformazione)

*Il dissenso non può essere imbavagliato! *

L'articolo 1 per Francesco Brancaccio, detto Copertina. Per un fuorisede
come Francesco non è stata cosa facile il rientro a Oriolo, il piccolo paese
in provincia di Cosenza dove vivono i suoi genitori e dove lui stesso è
ancora residente. Un rientro che ha subito coinciso con la visita casalinga
dei carabinieri. Evidentemente una gestazione meticolosa e paziente, una
visita da lungo tempo preparata, magari durante il periodo di arresti
domiciliari che, proprio l'estate passata, Francesco aveva subito. Poi la
mossa del Questore, responsabile della notifica.

La notifica dell'avviso orale, presupposto per le misure di prevenzione
(Articolo 1 della legge Scelba del '56, poi modificata da Cossiga nell'88),
per Francesco descrive chiaramente lo stato di salute pessimo della
democrazia italica. L'ammonimento viene notificato per la quantità di reati
accumulati (quali reati, si tratta solo di denunce e processi ancora da
aprire!), per le frequentazioni poco raccomandabili (Esc o i collettivi
universitari sarebbero una frequantazione deliquenziale, peggio "mafiosa", e
poco raccomandabile! ), per decretare l'imposizione di una nuova condotta, di
un nuovo stile di vita.

L'uso della legge Scelba è un evidente attacco alle pratiche di conflitto e
di democrazia radicale che Francesco, assieme a tant*, condivide
nell'università e nella città di Roma. Conflitti che, alla luce del sole,
chiedono maggiore giustizia, combattono la precarietà, producono saperi
altri. Conflitti costituenti di nuove forme di vita, di socialità autonoma e
ricca, di condotte indisponibili alle logiche del mercato e della guerra
globale permanente.

*Francesco è un studente, un attivista dei centri sociali, un fratello da
sempre protagonista delle battaglie che hanno investito in questi anni il
tessuto metropolitano romano, ma anche quello europeo! *

*L'attacco da lui subito è un attacco che colpisce tutti i movimenti, che
colpisce le esperienze di lotta all'università , che colpisce i centri
sociali*.

Per quale motivo proprio adesso, con il governo Prodi e non quello
Berlusconi, ripetiamo il governo P R O D I, la Questura di Cosenza abbia
dato il via libera ad una simile aberrazione repressiva ci è poco chiaro. Al
seguito della contestazione ironica nei confronti del Presidente della
Camera Fausto Bertinotti, in merito al protagonismo italiano negli scenari
di guerra come quello afghano, si è scagliata su Francesco, gli studenti
della Rete per l'Autoformazione e del Coordinamento dei collettivi de La
Sapienza, una pesante reazione politica.

Ci auguriamo che non sia stato questo contesto di stigmatizzazione o, più in
generale, il tentativo di marginalizzare le pratiche di dissenso ad aver
dato via libera all'iniziativa della Questura cosentina. Sarebbe un fatto
gravissimo, sarebbe la resa dello spazio politico democratico. Quando nessun
reato specifico viene contestato, ma sono la possibilità di praticare
conflitto e di domandare giustizia in generale ad esser messi sotto accusa,
la democrazia viene meno, un nuovo autoritarismo si profila all'orizzonte.

Invitiamo i movimenti universitari, i centri sociali, le straordinarie
esperienze di lotta per i beni comuni, i movimenti antirazzisti, i movimenti
di lotta per la casa a prender parte rispetto a quanto accaduto.

*L'attacco a Francesco non è una questione privata!*

Esc, atelier occupato (Roma) - Rete per l'Autoformazione (La Sapienza -
Roma3)

mercoledì 18 aprile 2007

Una nuova alleanza

Un mio articolo apparso su La Comune con una presentazione di Lalunacade:

L’idea che l’evoluzione della scienza sia oggettivamente determinata mediante criteri esclusivamente interni e che il sapere scientifico progredisca attraverso un’accumulazione lineare di conoscenze sempre più perfezionate è stata abbandonata da tempo, almeno dagli scienziati più attenti (non da Odifreddi, per intenderci).
In quanto declinazione del pensiero umano, il pensiero scientifico è complesso e non può essere appiattito sul concetto di nozione scientifica o su quello di metodo, di cui ancora non si riesce a dare una definizione soddisfacente. La storia insegna che l’aspetto empirico-induttivo è appunto solo un aspetto, spesso neppure determinante: la scienza non è mai stata mera razionalità applicata all’esperienza, ovvero combinazione due elementi statici che non ne spiegherebbero il progresso. Hanno invece un peso enorme l’intuito e la sensibilità dei singoli scienziati, i rapporti umani all’interno della "comunità scientifica" (*), l’influenza della cultura dominante.
Il 14 marzo scorso alla libreria Prospettiva di San Lorenzo, in occasione della presentazione di un libro, è stata sollevata la questione in un contesto diverso da quello solito degli addetti ai lavori. La corrente di pensiero "Utopia socialista", alla quale la libreria fa riferimento, ha mostrato interesse ad ospitare sulla sua rivista teorica trimestrale "Utopia" un lavoro di approfondimento che con tutta probabilità prenderà in esame un caso significativo nella storia della fisica per mettere in evidenza la complessità di quella stramberia umana chiamata "scoperta scientifica", ovvero la nascita, lo sviluppo e l’affermazione di una teoria. Protagonisti di questa avventura dovrebbero essere i fotoni, sperando di riuscire a raggiungere un livello di comprensibilità accettabile.
Intanto sulle pagine del quindicinale "La Comune" in uscita oggi, il tema è stato riproposto in una lettera del compagno intervenuto alla presentazione in libreria.

(*) questo almeno fino a qualche decennio fa, oggi anche lo stesso concetto di "comunità scientifica" ha perso il suo senso originario.
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In occasione della presentazione a Roma della seconda edizione del libro di Dario Renzi e Anna Bisceglie "Rosa Luxemburg" ho voluto, forte della mia precaria identità di studente di fisica, infliggere ai malcapitati presenti una riflessione personale sulla possibilità di una "nuova alleanza" tra scienza e socialismo. L’interessamento dei compagni al termine dell’incontro mi ha spinto ad approfondire il mio pensiero e rilanciare, sperando di offrire lo spunto per una ricerca collettiva.
Rintracciare i legami tra gli irrisolvibili del socialismo scientifico e gli irrisolti della scienza è un proposito non semplice e reclama subito qualche chiarimento seppure parziale.
All’interno di una ripensamento critico del pensiero di Marx va riconosciuto che l’impianto stesso del materialismo storico risulta pesantemente influenzato dal paradigma scientifico allora dominante. E’ dalla scienza dei secoli XVIII e XIX che viene mutuata la concezione secondo cui ogni evoluzione sarebbe oggettivamente determinata. Tutto avviene perché deve avvenire, necessariamente: questo insegnano i successi di Newton, Laplace, Maxwell.
I primi anni del secolo scorso però hanno visto il crollo di queste certezze ed è subentrata una fase di "confusione epistemologica": la scienza ha i suoi irrisolti!
Ciò che da sempre si trascura è che l’impresa scientifica, in quanto impresa umana, è inscindibilmente legata al complesso delle facoltà della specie. Da circa una trentina di anni si è diffusa nell’ambiente scientifico la giusta convinzione che per la "comprensione del perché e del come mutano le idee nella scienza" si debba guardare fuori dalla comunità scientifica: negli anni ‘70 alcuni scienziati di formazione marxista evidenziarono come, quando più teorie equivalenti dal punto di vista della spiegazione del fatto empirico sono in competizione tra loro, sia la società a condizionare fortemente la scelta. Ovviamente la gabbia del materialismo storico li conduceva ad attribuire un ruolo di primo piano ai soli "fattori strutturali", portandoli a ricadere nel determinismo ed impedendogli di sciogliere molte contraddizioni.
E’ forse il momento di iniziare a ripensare la scienza e il suo processo evolutivo, di restituirla alla società e di interrogarsi sulla sua funzione sociale: cosa rappresenta la ricerca scientifica per l’individuo e per la collettività? E’ possibile renderla funzionale al processo di trasformazione della società, in una prospettiva umanista e socialista rivoluzionaria?

martedì 3 aprile 2007

Una festa…e la comunanza

Ho trascorso lo scorso fine settimana a Bologna. Ho rivisto amici, meglio fratelli e sorelle, che non vedevo da tempo tutti insieme. I ricordi hanno lasciato spazio anche al presente. Le storie passate e quelle presenti si sono incrociate, mischiate, riconosciute.
Conoscere la gente di una di loro, vivere qualche giorno nella sua vita, organizzando una festa. Immagini che parlano di una prossimità che non è solo fisica, anche se dalla fisicità origina. In più il fatto di preparare qualcosa insieme ci ha dato immediatamente una quotidianetà che non vivevamo da tempo. Così come il farlo con persone fino a quel momento sconosciute ci ha permesso subito una vicinanza, parziale, ma altrimenti inarrivabile. La festa: i suoni, i sapori, le danze…movimenti esterni e interni e relazioni interumane vere e immediate.
Ogni festa è, per me, la riscoperta del rapporto con gli altri, ma questa volta il latente era più intuibile, perchè fuori dall'abitudine.
E' così che l'esperienza vissuta andava diventando immagine nella mia mente già dal viaggio di ritorno e poi la sera. Immagine e poi pensiero e ora pensiero verbale.
Così ieri, nell'aria fresca e nel sole di primavera, respiravo nuovamente trasformato.

In questi giorni ho iniziato a leggere l'ultimo libro di Dario Renzi "la comunanza". Credo che quello che ho vissuto sia il germe di quello che lui ed io e altri andiamo cercando. Comunanza che va pensata e immaginata rivoluzionaria. Comunanza rivoluzionaria che va vissuta e proposta.

lunedì 2 aprile 2007

Avvertenze

Questo blog è stato trasferito qui da http://distrappunti.splinder.com. I post qui di seguito erano pubblicati sul vecchio blog, quindi le date di pubblicazione non corrispondono.

ASSASSINI (Contestazione a Bertinotti)

Un'immagine. Quella di Bertinotti che scende dalla sua macchina e si avvia a salire le scale della facoltà di lettere. Partono i cori e gli slogan. Qualcuno gli si avvicina e gli da un volantino, ma non gli da la mano. Bertinotti che entra in facoltà sormontato da facce urlanti e striscioni. Lo seguono. Entra in un'aula e lì, l'applauso. Le porte si chiudono. Chi non è dentro è fuori.

Quelli fuori un pezzo del movimento che vorrebbe rappresentare. Un pezzo della gente che non capisce e non vuole capire.

Quelli dentro un pezzo del macigno che ci soffoca e a cui resistiamo. Ciellini. Quelli contro l'aborto, quelli contro i dico, quelli contro l'evoluzionismo…quelli contro l'uomo.

Chi sono i violenti?

Non è l'immagine di un politico in difficoltà. E' l'immagine della crisi della politica. E' la realtà-verità della politica. Un'immagine che nega. Annulla. Un'immagine che urla più forte di noi studenti che urlavamo per non stare in silenzio. Studenti che rischiano di rimanere uccisi dalla non violenza che fa la guerra, come altri sono stati uccisi 30 anni fa.

QUALCUNO VOLEVA FOSSE GENOVA, INVECE E’ STATA SOLO VICENZA


trenoAlle 21 di venerdì sera il piazzale della stazione Tiburtina era già invaso da uno strano popolo variegato. Ragazzi e ragazze in piedi o accovacciati a terra o appollaiati sugli spartitraffico. Non solo ragazzi e ragazze. Una fila composta alla cassa dell’unico bar. Movimenti di marea dall’esterno verso l’interno e viceversa. Rasta dai vestiti cadenti, fricchettoni, redskin, i romanacci del 32 e quelli ben vestiti e ben pettinati dell’Esc insieme a altra gente, quelli con la scritta Rifondazione in fronte e quelli all’apparenza normali, anche un carosello di biciclette che si faceva strada suonando i campanelli. Un bestiario molto assortito. Erano quelli che partivano per Vicenza. Appena arrivato mi sono rifugiato tra i ragazzi del collettivo. Qualche battuta ed una birra mi avrebbero tolto di dosso l’agitazione, pensavo. C’erano tutti i presupposti perché scoppiasse il casino. La partenza rinviata di un’ora. Arriva la voce che il treno si sta riempiendo. Il treno è già pieno. Più di mille persone tra le peggio assortite dell’universo dovevano partire con quel treno. Non si può fantasticare di nessuna società migliore se non si riesce a gestire la partenza di un treno. E invece tutto fila liscio. La gente è stipata a dieci per scompartimento, qualcuno ha dovuto prendere un altro treno. Dalle porte si vedono penzolare i piedi di chi si è appollaiato nell’intercapedine tra i portabagagli e il soffitto, qualcuno passa con un apribottiglie ad aprire i letti. Il treno resta fermo, la gente riempie i corridoi. C’erano tutti i presupposti perché scoppiasse il casino, invece la gente chiede scusa e sorride. Non c’era nessun motivo per cui qualcuno non dovesse menare le mani su quel treno e invece il treno è partito, si va a Vicenza. Più che un treno sembrava un girone dantesco. Qualsiasi azione che avesse in qualche modo impedito la partenza di quel treno sarebbe stato un atto di immensa violenza, una delusione, una sconfitta, invece tutto è filato liscio. Qualcuno direbbe che ha prevalso la ragione, io sono convinto dell’esatto contrario.Il treno prosegue e tra i vagoni la gente parla, sorride, beve, fuma, si diverte. C’è anche qualcuno che si addormenta, come me, nelle posizioni più strane in un incastro di corpi senza soluzione di continuità.

E’ mattino, è Vicenza. L’aria è fresca il cielo coperto. Un fiume di persone dal treno si riversa sulla città attraversando la stazione. Molti portano in mano buste di plastica con i rifiuti, a me sembra un particolare degno di nota. La città è silenziosa, ma non perché blindata, è solo addormentata. Quelli del treno prendono d’assalto i bar per fare colazione e pur non essendo silenziosi, non rompono il silenzio pacioso della città. Il bestiario che popolava il treno diffonde lentamente per le vie di Vicenza. Intanto anche il cielo si è aperto. La loggia del Palladio, i negozi con le insegne d’epoca, i dolci buoni delle pasticcerie, la basilica del Palladio. Una strana variante del turista attraversa il cuore del nord-est. Sarà stato perché compravamo, ma ci hanno accolti tutti bene. La gente si augurava che la manifestazione andasse bene e ci augurava buona passeggiata. Le dichiarazione dei politici dei giorni prima andavano ammutolendosi nella mia testa, tutto quello che vedevo intorno a me parlava di un altro mondo, di altre relazioni. Nessuno di questi, pensavo, potrà far casino. Ma ci sono sempre gli altri. Quindi il pranzo nel parco. Come a pasquetta il verde invaso a gruppi che mangiano, bevono e suonano. Ma il giorno prima non era pasqua, non c’era nessun Cristo risorto. Era tutto lì presente e da venire. Già quella era una manifestazione. Quell’invasione pacifica e delocalizzata della città già parlava di smilitarizzazione del territorio, già parlava di pace, qualcuno direbbe di comunanza rivoluzionaria. Fantasticavo di manifestazioni senza corteo, di persone che si spostano e invadono una città, pervadendo i suoi vicoli e condividendo i luoghi di chi la vive con chi la abita, affermando così la creatività contro la militarizzazione, i rapporti interumani sani contro la violenza. Invece c’è da fare il corteo e bisogna spostarsi. Di nuovo persone molto diverse tra loro si spostano in massa per raggiungere il luogo del concentramento portandosi dietro i sacchetti dell’immondizia.

corteoIl corteo stenta a prendere forma. La gente è tanta, più del previsto e continua ad arrivare. Torna l’agitazione, l’apprensione, la ragione. Parlando con un compagno ci diciamo che se il corteo si spezza e i cattivi rimangono isolati ci saranno le cariche. Era a questo che puntavano le dichiarazioni dei giorni precedenti, no? A terrorizzare la gente, a farla desistere dall’affermare la propria contrarietà alla militarizzazione di un territorio e alla guerra. Ma Vicenza già aveva parlato. Le signore del presidio permanente non sembravano né pazze, ne brigatiste. Allora perché fanno quello che fanno? Ma il corteo inizia a muoversi scomposto e informe. Di nuovo i presupposti perché scoppiasse il casino c’erano tutti. C’erano anche le bandiere di partito che non dovevano esserci e invece c’erano. Non riuscivo a stare tranquillo, avevo paura che tutti cadessimo nella trappola. Avevo paura di Genova. La tensione mi sopraffà per un po’. Il tempo di rendersibimbe conto che non esistono spezzoni. Che il corteo è un unico corpo variopinto e multiforme. Vecchi e bambini diffondono lungo tutto il corteo annullando ogni separazione fra le varie identità presenti. Di nuovo c’erano tutti i presupposti perché scoppiasse il casino e invece è filato tutto liscio. Nessun servizio d’ordine ha dovuto tener a bada nessuno. Di nuovo qualcuno potrebbe dire che ha prevalso la ragione e di nuovo io sarei d’avviso contrario. Una fiumana di mille colori che abbraccia la città, una città nuova che per qualche ora annulla la base e la guerra. Il resto è festa e colori.

Il treno al ritorno era molto più silenzioso. Tutti pienamente realizzati. La gente lo riempie come all’andata, molti dormono nel corridoio. Negli scomparti la gente ammassata si passa qualche bottiglia di vino o qualcos’altro chiacchierando sorridente.

Molti volevano fosse Genova; è stata solo Vicenza.

Ma la politica sta già avendo la sua rivincita, con lo sciacallaggio dei partiti e con le ridicole crisi istituzionali.

17/11/2006 SCIOPERO GENERALE

Per questa giornata i sindacati di base hanno indetto lo sciopero generale. Lo sciopero è contro la finanziaria e aderiscono tutte le sigle sindacali di base e le realtà dell'autorganizzazione. Ma lo sciopero generale storicamente non si è mai limitato alle rivendicazioni vertenziali della piattaforma con il quale è stato convocato e nemmeno questa volta andrà diversamente. A Roma hanno aderito allo sciopero varie realtà auto-organizzate cittadine: dal settore abitativo, agli immigrati, agli studenti universitari. Il tema centrale su cui queste realtà si sono incontrate, come emergeva anche dai dibbatiti affrontati nelle varie assemblee, è quello della precarietà. Precarietà non solo intesa come contratto lavorativo, ma come modello di vita imposto dal sistema. E' a questo che chi scenderà in piazza il 17 si vuole opporre. Anche questa dimensione, però, può essere scavalcata. Il primo passo fatto, infatti, è stato quello di individuare un nuovo soggetto sociale: il precario. Individuare i problemi e le esigenze di questo soggetto e cercare di esprimerli in maniera unitaria. Il passo ulteriore che si potrebbe - e si dovrebbe - fare è quello di manifestare una critica positiva ed affermativa alla violenza a cui i governi ci sottomettono precarizzando le nostre vite. Farlo mostrandolo già nel modo stesso di riappioprarsi della città. La giornata del 17 potrà essere un momento di confronto e di verifica per le realtà autorganizzate. Potranno esprimere la loro alternativa, mostrandola nei fatti a chi non può o non vuole vederla. Si potrà verificare il punto a cui si è arrivati, le capacità creative dei singoli e della collettività, mettere all'operva la propria storia individuale e collettiva e raccogliere informazioni irrinunciabili per rilanciare nel futuro.

C'è un filo rosso che unisce Argentina, Francia, Chile, Oxaca. Le mobilitazioni, nate dai bisogni di alcuni settori o dell'intera collettività, si sono treasformate in qualcosa d'altro, mostrando un afflato totalizzzante. Le popolazioni in rivolta hanno mostrato l'esigenza di concepire un'umanità diversa, e più umana, e lo hanno fatto provandolo sul campo, nella prassi della vita quotidiana, mostrando già durante la lotta la società che contrappongono a quella imposta violentemente dal sistema globale. Lo hanno fatto con le loro contraddizioni, spesso anche profonde, segnando dei timidi avanzamenti, seguiti da vistosi arretramenti, ma è successo. E' questo quello che dobbiamo provare a fare a partire dal 17. Dobbiamo pensarlo, viverlo e difenderlo.

La Famiglia

Avamposto delle istituzioni sistemiche.

Non inizierò parlandovi di una mia lettura come avevo deciso. Ho deciso, invece, di iniziare con un argomento che sento molto e che è spesso oggetto dei miei pensieri: la famiglia.

La famiglia è da tempo al centro dei discorsi di politici e clero, ma anche delle conversazioni da bar e tra sconosciuti sul treno. E’ così che ieri ho ascoltato per quasi un intero viaggio una signora parlare ad una ragazza della sua famiglia, del fratello che conviveva con una donna che non sta bene alla famiglia, della famiglia che sopporta questa donna per il bene della figlia, ecc. ecc.

La famiglia è l’avamposto delle istituzioni sistemiche. L’istituzione repressiva per eccellenza. Ripropone nel privato e riassume in sé tutti i metodi e le caratteristiche delle istituzioni di controllo e repressione che il sistema ha adottato per la vita pubblica. E proprio di questa scissione tra pubblico e privato che si nutre il sistema, ma può farlo a patto che anche nel privato, dove non può entrare senza perdere la propria facciata di libertà democratica, riproduca il suo dominio. La famiglia assolve a questa funzione. E’ per questo che viene difesa strenuamente da ogni Chiesa o partito politico.

La famiglia espleta le sue funzioni di controllo e di dominio nel modo più subdolo e totalizzante possibile. Da una parte, con il suo essere “naturale”, nasconde l’alienazione che la istituisce molto più facilmente delle istituzioni pubbliche, dall’altra permea e pervade ogni aspetto della vita di un singolo, giustificando questa sua invasività con un ricatto degli affetti che nessuno Stato riuscirà mai a replicare.

Una visione alterata degli affetti è la base del potere della famiglia. In questo senso hanno un ruolo di primo piano le donne. Vittime prime della famiglia in ogni tempo e luogo, che si trasformano in carnefici. In una gerarchia ferma ed irremovibile anche se spesso non del tutto manifesta, la donna accetta il proprio ruolo di vittima (moglie) solo nella misura in cui può far leva su questo per ottenere il suo potere, arroccandosi nel suo ruolo di carnefice (madre).

Più la vita pubblica appare caotica e sbandata, più il potere repressivo della famiglia si rafforza, ritirandosi in misura sempre maggiore dal pubblico, ma rinsaldando le proprie posizioni nel privato. E’ questa la fase che stiamo vivendo. La famiglia sembra non avere più nessun ruolo nelle scelte pubbliche di un individuo, ma allo stesso modo detta e guida le scelte individuali in modo silenzioso e totalitario. Investe violentemente le scelte che riguardano la vita sentimentale ed affettiva di una persona, ma lo fa sempre mascherando la violenza con un malinteso affetto.

E’ un fatto che nelle esperienze di ribellioni generazionali la famiglia sia stata sempre una delle prime istituzioni ad essere messa in discussione, ma mai in modo definitivo. Non ho le competenze né le conoscenze necessarie per approfondire questo spetto, che però mi sembra di fondamentale importanza.
In una prospettiva rivoluzionaria di liberazione la famiglia va ripensata. Va sciolta in una comunanza più ampia e fondata su sentimenti veri e riconosciuti. Proprio perché baluardo delle istituzioni sistemiche, proprio perché è l’avamposto che ogni persona si trova ad affrontare per primo sulla via della propria liberazione, va analizzata e criticata, affinché ognuno possa riconoscere il suo ruolo.

Le donne, credo, avranno un ruolo fondamentale in questo, attingendo non alla dicotomia imposta vittima/carnefice, ma ai sentimenti più profondi della loro femminilità.